A Castel Sant’Elmo non c’ero mai stata e mi venga perdonato questo peccato, ma il panorama della città che dal Vomero si vede è tanto bello quanto lontano dalla provincia in cui abito. Grazie a Brunori Sas, però, ho recuperato anche questa mancanza e con fare decisamente poco atletico sono arrivata in cima alla fortezza medievale, fortemente sudata e altrettanto entusiasta, per diversi motivi: ottimi posti a sedere, una bella location al fresco per cui vale la pena fare la suddetta scalata, un buffet all’ingresso e il programma di sala che annuncia un’opera “in sei atti osceni”, divisa tra monologhi e momenti musicali. Un’idea originale per lucrare ancora un po’, con un ennesimo tour, su quell’ultimo fortunato album. Questo però lo dice Dario, mica io. A me che l’arte si faccia per soldi o meno poco interessa, basta che valga la pena di essere comprata e questo biglietto, potessi tornare indietro, lo ripagherei senza dubbio e ancora più felicemente, col senno di poi.
Monologhi a parte – di cui cercherò di non fare troppe scottanti anticipazioni – la formazione sul palco è ricca: sei musicisti accompagnano Brunori, con archi, percussioni e “diavolerie elettroniche”. A circondarlo, le luci di Luca Telleschi restituiscono un’atmosfera quanto più intima possibile, giocando con effetti minimali che danno allo spettacolo un retrogusto quasi romantico, sacrificando la spettacolarità degli effetti stroboscopici che, diciamocelo, hanno un po’ rotto i coglioni. L’allestimento del palco, d’altro canto, è in linea con l’obiettivo di fondo dello spettacolo: instaurare un contatto diretto tra l’artista e il pubblico, che per una sera diventa più comico che cantante e riesce a creare un collegamento coerente tra i testi parlati e quelli cantati. Le quattro volte, ad esempio, comincia ad avere molto più senso dopo aver scoperto la verità che si nasconde dietro quell’enigmatica “morte del maiale”. Questo è il bello di essere cresciuti in provincia al Sud: si hanno sempre tantissime storie paradossali da raccontare.
Tra stand-up e intermezzi musicali, Brunori riesce a dar vita a una ricetta inedita: una ninnananna per rimanere svegli, che proprio non riesce a far chiudere gli occhi se non per sfinimento. A fine serata, infatti, la stanchezza che ci si porta dietro non è tanto dovuta alla scalata nel borgo, alla ricerca del parcheggio ancora prima oppure (non sto mentendo) al viaggio in circumvesuviana per recuperare i biglietti dimenticati a casa, a qualche comune di distanza, quanto alle risate ininterrotte e incontrollate che durante tutto lo spettacolo fanno da sottofondo e che, personalmente, mi hanno costretta più volte a raggomitolarmi per i dolori (piacevolissimi) che hanno ben presto cominciato a procurarmi allo stomaco. I momenti musicali hanno per questo due importati funzioni: la prima, ovviamente, coincide col motivo per cui si compra il biglietto, ascoltare le canzoni di Brunori Sas che tanto ci piacciono; la seconda, fondamentale, è quella di prendere finalmente fiato, perché quello speso per cantare a squarcia gola, per quanto si possa urlare forte, non è minimamente paragonabile a quello perso per il troppo ridere.
Brunori nei suoi monologhi non fa solo ironia, ma soprattutto autoironia: quella sua “vita normale” la racconta per filo e per segno, negli aspetti più comici e anche quelli più sofferti, ma tutti sono declamati per prendersi in giro e con sé la propria platea. Quando descrive una metà del suo pubblico come un esercito di figlie di Amélie Poulain quasi scivolo sotto la sedia dalla vergogna, perché chissà come sento che sta canzonando proprio me. Lui però proprio non capisce come sia possibile rivedersi nelle sue parole, in quei testi che fanno spesso Na-nanà. Lui, che oggi rappresenta una nuova generazione di cantautori – che nulla ha a che vedere con quella di De Andrè, Guccini, Gaber –, si sorprende perché un Loser (come quello cantato da Beck) viene mitizzato senza apparente ragione dai suoi ammiratori e qualunque cosa dica, pur facendo il suo coming-out di sfigato, rimane sempre e comunque un modello, che dal piedistallo non riesce proprio a scendere. Al massimo ci si siede, invece di rimanere tronfio e superiore, ma solo perché è umile. L’unica possibilità è che il suo sia un pubblico ignorante, però una platea che ride a battute su Sartre, che coglie citazioni non dichiarate a Pasolini, tanto ignorante non può essere. Non c’è altro da fare, Dario, fattene una ragione. Lo sfigato non sei tu. Gli sfigati sono quelli che non ridono (e quelli che escono dal palco prima del bis).
Scaletta
Primo monologo: Imagine Fra milioni di stelle Lei, lui, Firenze Una domenica notte Secondo monologo: Una società di persone Nanà Le quattro volte Maddalena e Madonna Terzo monologo: Ormai siamo troppo giovani Sol come sono sol Pornoromanzo Il giovane Mario Quarto monologo: Quattro Sartre in padella Bruno mio dove sei Conme stai Italian Dandy Quindo monologo: S.r.l. - Una società a responsabilità limitata Kurt Cobain Arrivederci Tristezza Sesto monologo: Mea Culpa Bis Mambo reazionario Guardia '82
Ringraziamo Rossana Panachia per la gentile concessione delle foto di sua proprietà
[…] una chiusura in grande stile. Dopo aver ospitato grandi nomi come Daniele Silvestri, Spartiti, Brunori Sas, Max Gazzè e gli Ex-CSI, ora il Carroponte vedrà esibirsi in una sola serata tre dei musicisti […]