Erica Mou in una foto di Andrea Mete
Erica Mou è una di quelle penne delicate di cui la musica italiana dovrebbe prendersi maggior cura. Classe 1990, di origini pugliesi, ha alle spalle una lunga gavetta iniziata nel 2008, numerosi premi conquistati, una partecipazione a Sanremo nel 2012 e svariate collaborazioni (tra cui Perturbazione, Raphel Gualazzi, Chiara Gamberale).
Il suo ultimo disco è uscito un anno fa e si chiama Bandiera sulla luna. In questi mesi Erica ha ripreso l’università, continua a scrivere nuove canzoni, nel tempo libero fa l’uncinetto e usa i social in maniera intelligente, come una sorta di diario personale.
Il 31 agosto è uscito un tuo brano remixato da Uponcue, Non so dove metterti. Ti va di parlarmi di questa collaborazione?
Uponcue è un duo di artisti di un paese della Puglia molto vicino al mio. Mi hanno contattata via mail per propormi una collaborazione e mi sono sembrati una realtà interessantissima che non conoscevo, seppur così vicina a me fisicamente. Così, per cominciare a conoscerci, gli ho affidato questa canzone. Ne hanno tirato fuori un’anima nuova, fresca, che rispetta moltissimo l’ironia del testo.
Un anno fa è uscito il tuo ultimo album Bandiera sulla luna. Scegli un brano di questo disco e parlami di come è nato.
«Beh, a questo punto ti parlo proprio di Non so dove metterti! È un brano che racconta di una convivenza e del mio goffo tentativo di evitarla adducendo improbabili scuse. È nata quando il mio ragazzo si stava trasferendo a Roma a casa mia, per un periodo. Ci siamo presi molto in giro a riguardo, soprattutto per il modo in cui ognuno cercava di difendere il proprio spazio. Non solo interiore, proprio fisico! In una lotta all’ultimo cassetto o metro quadro».
Su Facebook scrivi una specie di diario di bordo, diciamo una versione moderna dei blog. Che importanza hanno per te i social network?
«Sì, scrivo dei racconti settimanali, una rubrica intitolata C’est la Mou, ogni lunedì. L’ho sospesa per l’estate ma riprenderà a breve.
«I social consentono di esprimermi, di tirar fuori delle cose che magari nelle canzoni restano sopite o scorrono troppo velocemente, e di rimanere in contatto con fan e colleghi, scoprendo anche meglio le loro personalità. Ogni tanto però ho bisogno di disintossicarmi e stacco per qualche giorno; il problema con i social network è che, mentre li usi, il tempo scorre troppo velocemente, ti risucchiano e senti di aver sprecato intere ore a far finta di vivere».
Hai suonato live in molti posti durante l’estate. Che rapporto hai con il pubblico?
«Sono gli ascoltatori a dare nuovo senso al mio percorso, a darmi la misura di quello che sto facendo nel tempo: con molti di loro ci guardiamo crescere negli anni. Poi c’è il pubblico nuovo, da conquistare da zero, con tutta l’emozione della prima volta. Quando suono dal vivo sono felice».
Puoi anticiparci qualcosa sui prossimi lavori? C’è qualcosa che bolle in pentola?
«Sto scrivendo tanto, quotidianamente. E ho molta voglia di nuove collaborazioni».
Da poco è uscito un brano di Marco Sbarbati in cui canti anche tu. Si chiama La mia casa alla fine del mondo. Quali sono le tue sensazioni riguardo a questa canzone?
«Mi ha commossa, forse anche visto il periodo che sto vivendo, in cui mi interrogo su quale sia la mia casa. Marco è un artista umile e bravissimo, è un piacere collaborare con lui».
In foto, la cantautrice Erica Mou
Cosa fai quando non scrivi canzoni?
«Esco con gli amici, studio (ho ricominciato l’università), cammino, faccio l’uncinetto (nuova dipendenza del 2018), vado in palestra, vedo film, leggo, vado al pub… In pratica vivo».
Ora facciamo un gioco di “condivisione musicale”. Se dovessi regalare una canzone (non tua) a una persona molto importante per te, che brano sceglieresti?
«Non abbiamo bisogno di parole di Ron».
Chiudiamo l’intervista parlando di un luogo, di un tramonto, di un cielo. Qual è il tuo posto nel mondo?
«Ammetto che il primo tramonto che mi è venuto in mente, leggendo questa domanda, è quello sul mare del posto in cui sono nata, Bisceglie, in Puglia: intanto cerco il mio posto nel mondo, con la convinzione che non sia mai uno solo».
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