Un solo appuntamento per parlarvi di CartaCanta Editore e di Gaia Boni e dei suoi Fiori nudi. A dicembre ero in fiera, fra le carcasse in legno ricoperte di libri e opuscoli; fra editori e collaboratori che gridavano con gli occhi il bisogno di avere attenzione e qualcuno totalmente disinteressato che invece giocava col telefono. In fondo, vicino le uscite, nascosti, c’erano loro: CartaCanta Editore, che però è anche CapireEdizioni.
I motivi per i quali mi sono fermata sono stati essenzialmente due: donne allo stand, bloccate in quella che sembrava una scatola di fiammiferi decorata un po’ vintage. Non avevo idea di chi fossero. Mi sono presentata, ho chiesto informazioni, li ho cercati successivamente. Sul loro sito Internet c’è tutto quello che c’è da sapere: CartaCanta è una piccola passione che cresce come una piantina nel sottobosco, che cerca ogni giorno di raggiungere la luce del sole. Senza fretta.
Fiori nudi: colpita e affondata dalla bellezza
Una bellezza che non riguarda un aspetto puramente fisico – o cartaceo. Una bellezza, quella di Gaia e della sua collega, che sapeva di fiaba. Ho chiesto spiegazioni e consigli di lettura e Gaia, che dapprima era partita su un classico romanzo, mi ha guardata e mi ha detto: «Non so se ti piace la poesia, ma è uscita adesso questa nostra prima graphic novel».
Mi ha portata nel settore poesia. Mi ha detto: «Ti consiglio questo, questo e poi anche questo, l’ho scritto io». Fra le mani mi sono ritrovata un libretto che sapeva di carta bagnata e asciugata al sole. Non per l’odore. Una copertina verde sottobosco stampata su Tintoretto gesso. La tocco, sembra un pietra rugosa dalla quale qualcuno ha grattato via la vita del muschio.
Fiori nudi: sei ciò che scrivi
Spargeremo sotto terra, una delle poesie di Gaia Boni nella raccolta di poesie Fiori Nudi, edito da CartaCanta Editore. Foto di Ylenia Del Giudice
Il nome di Gaia, Fiori nudi scritto subito sotto; una donna che emerge da questo fitto bosco fatto di rami. La mano, il volto e gli occhi rimandano a uno studio di Raffaello. Elena Miele, che ha curato questa immagine, ha saputo racchiudere in pochi tratti quei fiori nudi che sono nella mente di Gaia, che sono – ed è un pensiero azzardato – il riflesso dell’autrice stessa.
Mi ritrovo in quell’occasione a pensare a questa donna che, con estrema naturalezza, scrive. Scrive più alta di Arminio; più profonda di Sastre. Il viaggio di ritorno verso casa lo faccio con lei, in compagnia dei suoi fiori nudi.
Fiori nudi: a chi abita pazientemente nel mio bosco
Non riesco neanche a scrivere, una delle poesie di Gaia Boni nella raccolta di poesie Fiori Nudi, edito da CartaCanta Editore. Foto di Ylenia Del Giudice
Ci si sente invadenti a proseguire, probabilmente perché Fiori nudi ha la stessa forza di un mito d’emersione dei Nativi Americani: è la stessa terra umida ad avvolgerti e tirarti giù. C’è un fattore unico che disorienta il lettore: non c’è, in nessuna poesia, alcun effetto speciale. Il lettore apre gli occhi davanti alla forza pura e primordiale della parola. Tutti i passaggi, per tutte le creature che abitano il suo bosco.
Poesie dedicate a tutte le gambe che hanno corso sulla terra di Gaia, calpestando quei fiori nudi. Dedicate a braccia che hanno stretto rami e mani che hanno strappato via foglie; dedicate alle dita a volte violente che pizzicavano ferite aperte. I corpi descritti scrocchiano improvvisamente tra le parole, come rametti da buttare. Poco dopo, quel piccolo fusto diventa una schiena che si contorce, dello stesso colore della luce della luna.
Non è la poesia della ricerca del dolore profondo, quella di Gaia Boni: è poesia di un dolore riconosciuto. Qualcosa di così forte da poter essere vissuto solo con estrema intensità, come un’unghia che scava nell’arto ferito di una volpe che si è fidata troppo di chi le ha promesso calore. Gaia parte dalle radici più profonde della quercia. Rami da potare prima, cerva impazzita che calpesta il ricordo, poi.
Fiori nudi: cicli, fango e orgasmi
Così primordiale ed estremo, l’amore in queste poesie fa male anche a chi legge. Ne usciamo feriti anche noi lettori. Si aprono e si chiudono, queste vite: Gaia Boni sa essere crudele, ci racconta dell’amore che dal fango raccolto respira ed esplode subito dopo, lasciandola ricoperta di quelle stesse parti di vita che aveva soffiato in quella melma; si secca sulla pelle fino a costringerla a restare ferma e immobile.
Gli orgasmi arrivano subito dopo, senza preoccupazione. Arrivano mentre riapre gli occhi, mentre si rialza e prosegue con i suoi fiori nudi. L’orgasmo lo sente il lettore, ne percepisce il fremito lungo la schiena.
Fiori nudi: la poesia fa paura
Gaia fa paura. Odora di pioggia in quelle pagine e di notte che scende veloce. La trovi calma, che si lecca le ferite in un angolo senza vergognarsi, come fosse la cosa più naturale. Non c’è vergogna nell’esporsi. Si è ripresa ciò che le è stato tolto.
Pensando a cosa siano queste poesie non riesco a fare altro che pensare alla stessa autrice. Mi dice, quando le chiedo se sono amori oramai andati: «Sì, quando amo, amo intensamente. E fa male. Ma va bene così». Poi sorride e mi dedica il piccolo volume.
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