Dal progetto fotografico Soglie © Martina Esposito
La quarantena non è finita, ma sta cambiando aspetto. Le attività che scandivano la nostra precedente «normalità» non sono ancora tornate a essere quelle di sempre, ma vengono riavviate, spesso assumendo nuove forme. Si riparte, allora, ma dovendo necessariamente reinventarsi, in nome della responsabilità. Lo ha dovuto fare anche Martina Esposito, fotografa. «Abito in un appartamento piuttosto piccolo, al primo piano, e ho le sbarre alla finestra», mi racconta, trasmettendomi senza troppe parole né fatica quella la sensazione di prigionia che, con lei, molte e molti di noi condividono in questo periodo. È da quella casa in cui è confinata che mi scrive ed è sempre lì che Martina è riuscita a trovare un modo, il suo modo, di trasformare l’ostacolo della quarantena in un’opportunità per superare la convinzione di non essere più in grado di creare.
«È una di quelle cose a cui non avrei mai immaginato di arrivare, è assolutamente fuori dal mio genere solito», mi racconta riferendosi a Soglie, una risposta ai diari di quarantena scanditi da «persone con mascherine riprese dai balconi, cadaveri o autoritratti vari» che hanno popolato la produzione fotografica nell’ultimo periodo. Ne parla senza disprezzo, sia chiaro: d’altra parte, anche lei ha realizzato con successo scatti di questo tipo. Ma a un certo punto, superata la sfida del dover scattare senza uscire, c’è bisogno di nuovi stimoli da cui partire. Trasformare e reinventare si confermano allora le parole d’ordine, per evitare il rischio che questo «immaginario teso» penetri nelle nostre abitudini visive fino ad assuefarci.
Adesso le persone camminano sul soffitto della mia stanza. Sulle pareti, vedo le poche auto che si muovono, gli alberi, il cielo.
Le pareti di casa diventano strette e pesanti come mai prima, ora che la libertà sembra esserci stata sottratta. Disperatamente, vorremmo recuperarla lì fuori, ma non possiamo. Non ci resta altra possibilità che reinterpretarla non come un principio esterno da noi, ma come una spinta interiore che ci tiene in vita. Martina ha scoperto che la normalità è fluida ed è riuscita a tornarvi in contatto travasandola in un nuovo contenitore, cambiandone la forma.
Ha deciso di far diventare le pareti della sua stanza lo schermo di quel «fuori» che tanto davamo per scontato e che oggi, invece, ci appare sfuggente e lontano. «Adesso le persone camminano sul soffitto della mia stanza. Sulle pareti, vedo le poche auto che si muovono, gli alberi, il cielo».
Soglie: come le pareti diventano strade
Dal progetto fotografico Soglie © Martina Esposito
In un periodo in cui molte e molti di noi pensano che ormai solo un miracolo possa salvarci, questa idea strabiliante a Martina Esposito è venuta non a caso in sogno. Permettendo alle persone di camminare sui soffitti della propria casa compie una sorta di magia, di cui però ho voluto farmi spiegare la formula. Quello che la fotografa fa, però, ha molto più a che fare con la tecnica che col sovrannaturale e, in buona sostanza, consiste nel trasformare le stanze in camere oscure.
Il meccanismo ideato da Martina si fonda principalmente su quel solo elemento che è ancora in grado di connettere gli interni delle nostre case al mondo su cui si affacciano: la luce.
«Ho oscurato le finestre con diversi cartoni e fogli di giornale, su sui successivamente ho praticato un foro, che nel gergo si chiama “foro stenopeico”. La luce che vi entra proietta sulla parete opposta alla finestra l’immagine capovolta e rovesciata dell’esterno. Ho usato poi uno specchio ellittico, l’unico che avevo, per creare dei riflessi» È solo a questo punto che Martina, munita di cavalletto, realizza le fotografie degli interni. Ecco come la scienza, in tempi di pandemia, viene in soccorso anche della nostra creatività.
A ben vedere, il meccanismo ideato da Martina si fonda principalmente su quel solo elemento che – lo avrete notato anche voi – è ancora in grado di connettere gli interni delle nostre case al mondo su cui si affacciano (salvo condizioni metereologiche avverse): la luce. Luce che Martina definisce un «regalo della natura» e che, in un momento come quello attuale, sostiene possa essere il simbolo di quella libertà di cui abbiamo bisogno, o meglio dell’evasione.
Perché Soglie? Su paure, distanze e prospettive
Dal progetto fotografico Soglie © Martina Esposito
Quello che Soglie racconta è infatti molto di più della necessità di mantenere un contatto col mondo esterno. L’evasione che fa da spinta al progetto è totale: riguarda lo spazio domestico, le abitudini che abbiamo imparato a considerare scontate, la condizione della generazione senza futuro per eccellenza (i millennials). Il titolo scelto per la serie fa quindi riferimento ai confini che abbiamo costruito dentro di noi e a quelli oggettivi che ci limitano dall’esterno. Soglie parla di «ciò che inizia e ciò che finisce, ciò che separa e che», inaspettatamente, «riunisce». Perché è in una situazione al limite che, adesso, ci riscopriamo solidali.
C’è un messaggio, che Martina ha ricevuto da una persona a cui ha mostrato gli scatti, che dice: «Nessuno parla del nostro punto di vista: trentenni senza futuro e che, a questo punto, non riescono più a immaginare nulla. Il passato non esiste, al futuro è meglio non pensarci e il presente sono quattro mura. Io sono esattamente nelle tue foto». In queste parole è riassunta una scoperta che Soglie ci permette di fare: quello che ci manca non necessariamente è solo quello che avevamo, la vita che facevamo; non sono solamente le strade, le persone. Quello che forse ci manca ancora di più è quello che già prima della pandemia temevamo di non riuscire a ottenere e che, adesso, sembra esserci stato strappato via definitivamente. Quello che ci manca più di tutto è quello che non avevamo: prospettive, sicurezze.
Dal progetto fotografico Soglie © Martina Esposito
L’effetto catartico di Soglie non si esaurisce sulla ritrovata creatività di Martina, che nella fotografia come «condivisione del vedere» trova la propria definizione di libertà. Potenzialmente, la creazione di queste città domestiche può trasformarsi in una terapia collettiva. A Martina riconosciamo oggi, con questo lancio che siamo grat* e onorat* di ospitare, la maternità dell’idea, che è appena nata e su cui continuerà a lavorare; ma lei, come ogni genitore, è pronta a guardare la sua creatura crescere e tracciare autonomamente il proprio percorso. Noi, con lei, vorremmo vedere anche le vostre case diventare contenitori di un mondo che, a dispetto della nostra assenza, continua a vivere. Valichiamo le soglie anche in questo senso: permetteteci di superare, almeno con lo sguardo, la distanza che ci separa e fateci guardare fuori dalle vostre finestre.
Per ora, potete godervi la vista che offrono le finestre di casa Esposito.
No comments