In foto, l’avvocata e attivista turca di origini curde Ebru Timtik, morta in carcere il 27 agosto 2020
Lo scorso 27 agosto è morta Ebru Timtik, avvocata e attivista turca di origini curde, impegnata nella difesa dei diritti umani.
Nel 2017 viene arrestata insieme a un gruppo di altri avvocati, accusati dal governo turco di avere dei legami molto stretti con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP/C), un gruppo di estrema sinistra considerato un’organizzazione terroristica.
Nel marzo 2019 vengono riconosciuti tutti colpevoli e condannati a lunghe pene detentive: per la Timtik il verdetto è di 13 anni e 6 mesi di carcere.
In ottobre viene rifiutata la loro richiesta d’appello alla Corte Suprema della Turchia e a gennaio 2020 Ebru Timtik e Aytaç Ünsal – suo collega condannato a 10 anni – iniziano lo sciopero della fame in segno di protesta contro un processo non considerato equo.
A fine agosto Ebru Timtik, che ha raggiunto un peso di 30 kilogrammi, muore.
Muore in carcere, dopo che a luglio il tribunale di Istanbul aveva rifiutato di farla trasferire in ospedale nonostante la presenza di un referto medico che attestasse le sue critiche condizioni di salute.
Ebru Timtik: la reazione (insufficiente) dell’Europa
Ci si potrebbe dilungare molto su varie questioni inerenti al fatto: il trattamento nelle carceri turche, l’irremovibilità del sistema politico e giudiziario turco, la richiesta d’appello rifiutata insieme ad un giusto processo e così via.
Ma ciò che accade all’interno dei confini della Turchia ormai è noto: repressione della libertà di parola e di pensiero (con una censura sulla stampa che sta quasi per sfociare in censura dei social network), violenza, gestione discutibile dell’enorme problema dell’immigrazione e dell’allocazione dei profughi siriani.
Uno Stato come la Turchia pieno di meraviglie, di storia, di cultura, di incontro tra usanze, religioni e tradizioni diverse quasi messo in ombra dalla fama del suo presidente Erdoğan e dalle sue politiche.
Il punto, però, non è questo.
Il punto è che molte organizzazioni internazionali, Unione Europea compresa, si sono espresse in merito alla tragica morte di Ebru Timtik, condannando l’intera vicenda.
Tutti contrari, tutti inorriditi, dispiaciuti e addolorati.
Ma la Turchia rimane alleata NATO, rimane uno Stato interlocutore dell’Unione Europea, una nazione che vorrebbe entrare a far parte dei 27 UE, che intrattiene legami economici e politici con il nostro organismo sovranazionale.
Non basta condannare il fatto. Non basta dissociarsi da metodi barbari e trattamenti fuori da ogni concezione democratica.
Uno Stato che limita la libertà di stampa – perno della democrazia moderna – non è uno Stato che può sperare di accedere all’Unione Europea.
Esprimersi non è abbastanza.
In questo contesto si inserisce perfettamente il paradosso e il dilemma del diritto internazionale: chi può avere il diritto – giuridicamente parlando – di attribuire a uno Stato sovrano (in questo caso la Turchia) delle sanzioni riguardo alla sua politica interna e al suo sistema giudiziario?
Finché il mondo sarà regolato da rapporti economici e politici, la giustizia e l’umanità saranno sempre al secondo posto.
Una presa di posizione concreta e decisiva è necessaria per riuscire a decretare che cos’è lecito e cosa no, cos’è accettabile o meno in una democrazia nel 2020.
In questo contesto si inserisce perfettamente il paradosso e il dilemma del diritto internazionale: chi può avere il diritto – giuridicamente parlando – di attribuire a uno Stato sovrano (in questo caso la Turchia) delle sanzioni riguardo alla sua politica interna e al suo sistema giudiziario?
Servirebbe l’intervento di uno Stato potente che condanni o sanzioni – nel senso giuridico del termine – atti che ledono i diritti umani universali. Uno Stato come gli USA, oppure un’organizzazione come l’Unione Europea. Ma ancora una volta, l’Unione Europea si dimostra debole e non decisiva nell’atto di punire delle politiche e dei comportamenti che mettono a rischio la vita, i diritti e la tutela dei cittadini – in uno Stato come la Turchia che, tra l’altro, vorrebbe inserirsi nell’Unione Europea.
L’omertà non è solo una caratteristica italiana. Stare fermi immobili di fronte alle illegalità che si compiono a pochi passi da noi è omertà – e nessuno,neanche i media, ne parla abbastanza.
Quante ingiustizie dovremo ancora sopportare in nome delle questioni geopolitiche che regolano il panorama internazionale?
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