Una paura atavica e mai mainstream quella del buio, è vero. Molti di noi sono cresciuti con lo sguardo di disapprovazione e stanchezza dei genitori che ci riportavano a letto promettendoci una notte d’inferno se non avessimo fatto i bravi. L’uomo nero, un mostro qualsiasi pronto a spuntare da qualche angolo e nei casi peggiori persino la religione. Un angelo custode pronto a chiamare l’esercito di Lucifero se non ci fossimo addormentati subito.
Buio: acluofobia e paralisi
Alla domanda posta ai miei followers (concedetemi un attimo di popolarità, n.d.a) su Instagram ho chiesto: ve la ricordate la paura del buio di quando eravate piccoli? La più bella risposta è stata questa.
Avevo paura dei rumori e dei volti nel buio, questi ultimi sempre suggestionati da una pareidolia immaginativa sempre presente e sempre unita ad una fascinazione rispettosa per il buio. Di tanto in tanto i volti diventavano più consistenti, dettagliati e dotati di corpi, vagavano attorno al mio letto con la testa china per evitare di sbattere sul soffitto, mentre io ero così terrorizzato da non riuscire a muovermi. Quando ero al liceo ho scoperto che tutto ciò risponde al nome di paralisi ipnagogica, e da allora, nonostante bestemmio da morire quando mi capita, sono ancor più affascinato dalle congiunture sensoriali tra buio e mente.
L’ho fatta lunga, ma credo che la mia, più che paura del buio in sé, fosse paura che le allucinazioni si concretizzassero del tutto di fianco al mio letto.
Il buio in quanto tale non è mai la vera fonte della nostra paura, ma ciò che scaturisce il vivere quella condizione. L’ignoto, l’incapacità di poter avere il controllo, il restare improvvisamente soli e rendersene conto.
Buio: 7 anni di consapevolezza
Joele, lo stesso bambino che ha disegnato per me quando ho scritto di La casa e lo stesso che mi ha raccontato la sua paura del buio per Babadook, è il bambino che si è seduto sulla sedia a dondolo, una sera, a leggere Il signor paura.
Un libro di Luigi Cardone con le illustrazioni di Sabrina Scaranello, pubblicato per Eretica Edizioni. Un libro per bambini che spinge i piccoli lettori ad affrontare, col giusto tempo, quel signor paura che si palesa solo quando si spegne la luce.
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Siamo vittime inconsapevoli della paura di avere paura dei nostri genitori: come si spiega ad un bambino come deve dormire nella sua stanza? Lo si terrorizza al punto che il calar del sole non è più il segno di un giorno che sta per finire ma di una notte che arriverà e sarà lunga e difficile. Joele, con i suoi 7 anni, l’ultima volta mi ha detto: non ho paura del buio, ma di restare solo. Se entrano i ladri come faccio a scappare? Un bambino che è riuscito ad arrivare molto in fondo alle sue emozioni.
Buio: al cinema è d’obbligo il disturbo mentale
Di Lights Out ne hanno parlato in molti. Nato dal cortometraggio omonimo, il regista Sandberg non è ben chiaro cosa volesse ottenere. Siamo stati tutti colti dal jump-scare, tutti siamo stati disturbati da quella sottile voglia di veder spegnere la luce per scoprire cosa c’è nel buio. Il film dura poco più di un’ora, la sorella più grande è stata terrorizzata dal buio, il fratellino vive la stessa cosa e tutto questo in una casa dove, ancora una volta, si trova una madre con disturbi mentali.
Le nostre paure associate, erroneamente, alla salute mentale. Avere paura del buio resta per me una cosa naturale e anche sana: se non vivessimo con il giusto stato ansioso quell’angolo oscuro, probabilmente saremmo capaci di azioni che metterebbero a rischio la nostra vita e quella degli altri. Invece, grazie a quel senso di paura, ci fermiamo. I film ci mostrano spesso quello che desideriamo vedere: i personaggi che si separano e affrontano i mostri di turno da soli e noi che dal divano li preghiamo di non fare questa sciocchezza.
Buio: accendi la tua luce
E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a inventionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine de’ diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. E interviene in simili muri e misti come del sono di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai.
In realtà ancora oggi io non riesco a dormire se c’è penombra. Voglio il buio estremo, niente possibile pareidolia. E se provassimo a sfruttare la paura come fosse una musa? Leonardo da Vinci, nel suo Trattato sulla pittura probabilmente già concluso nel 1498, parla di nome e vocabolo che tu immaginerai. Dunque qualcosa che nasce dalla nostra immaginazione stimolata da altri mille fattori. Perché finiamo sempre per negare agli altri e a noi stessi il diritto di avere paura del buio? Perché non abbiamo – o vogliamo – energie per disegnare ciò che vediamo e rendere così concrete, e meno paurose, le nostre paure?
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