Le congratulazioni di un attore del calibro di Daniel Day-Lewis ad Adam Sandler per la sua prova, il ritorno (e la conferma) dei fratelli Safdie alla regia, la produzione di Martin Scorsese. Tre indizi che dovrebbero fare anche più di una prova, per dare conferma che Diamanti Grezzi non è un film come un altro. Così come, giocoforza, è doveroso inserirlo tra i migliori usciti in questo nefasto 2020.
Dopo l’acclamato Good Times, con un fantastico Robert Pattinson, torna protagonista New York insieme al suo caos ordinato. Stavolta a tenere le scene è un sontuoso Adam Sandler, costantemente inseguito da una macchina da presa capace di tagliare lo spazio ed i tempo. La sequenza d’apertura di Diamanti Grezzi diventa emblematica in tal senso. Un tragico incidente, la scoperta di un opale e via dentro di questi in un mondo psichedelico. E poi?
E poi ci troviamo catapultati fisicamente dentro il nostro protagonista, Howard, nel bel mezzo di una colonscopia. Un momento grottesco, assurdo, inspiegabile ma quanto mai spiazzante. E dall’Africa passiamo a New York. Una New York alienante come ci veniva descritta dalla Nuova Hollywood, il cui massimo esponente è proprio Scorsese. Una città che ti ingloba e ti trascina in situazioni surreali, così come la vita del protagonista.
Howard è un gioielliere dalla moralità quantomeno dubbia, marito fedifrago, scommettitore incallito ai limiti della ludopatia, bugiardo patologico. Vive quasi alla giornata, con i suoi affari, la sua amante, la sua famiglia. E la voglia di battere all’asta l’opale di cui sopra, arrivato tra le sue mani grazie ad un sanguinolento contrabbando. In fin dei conti, per lui, il sotterfugio è la forza che lo spinge ad andare avanti, ad avere il successo che pensa di meritare
Ricchezza e moralità non vanno sempre a braccetto e Howard ne è un po’ la dimostrazione. La caotica New York messa in scena dai registi gli permette di farla sempre franca, nascondendosi nella massa, fuggendo dalla malavita a cui deve un sacco di soldi ma anche da impegni meno pericolosi. Così come, allo stesso tempo, gli rende molto complesso trovare quel suo opale, finito nelle mani di uno scaramantico Kevin Garnett.
Il costante paradosso della vita al quale viene sottoposto Howard, trova pieno compimento durante tutta la durata del film. Diamanti Grezzi vive in un caos organizzato, continuando a mostrarci un contesto urbano frenetico, esattamente come in Good Times. Stavolta però si guarda ad uno strato superiore di società. Non più due ragazzi relegati ai margini ma a ricchi gioiellieri privi di morale. Come in un’ideale città del peccato, quella dell’altra costa, Las Vegas.
Diamanti Grezzi, la sintesi perfetta del cinema statunitense
Osservano, i Safdie. Osservano quell’alienazione cara al cinema della costa Est degli anni Settanta, contaminandolo con un cinema quasi diametralmente opposto, fatto di astrazioni. Un gioco di opposti che sublima in una sintesi perfetta. Attingendo a piene mani da quei classici “urban movie“, Diamanti Grezzi sa come catturare a sé lo spettatore e al tempo stesso respingerlo. Un paradosso dal quale è difficile uscirne insoddisfatti, anche grazie alla meravigliosa fotografia di Darius Khondji.
Un film capace di raccontare in maniera anche molto fredda, a tratti, ma che comunque riesce a creare una suspence costante. Cosa potrà accadere ad Howard? Ce la farà? Complice una grandissima prova attoriale di Sandler (che avrebbe meritato almeno una candidatura), Diamanti Grezzi è una gemma ben lontana dall’essere grezza. Anzi, possiamo dire che è ben lavorata e definita. Le ispirazioni di un preciso cinema passato sono raccolte e lavorate a immagine e somiglianza del cinema che i fratelli Safdie stanno proponendo. E che vorremo vedere più spesso.
Articolo a cura di Lorenzo Pietroletti
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